Quando si parla di comunità, bisogna farlo a 360° e gli anziani sono parte fondante della nostra storia e quotidianità.
Per questo oggi abbiamo il dovere di parlare di “buon invecchiamento” e investire concretamente in strutture residenziali e assistenziali.
L’invecchiamento della popolazione (a gennaio 2016 gli italiani di età superiore ai 65 anni erano il 22% della popolazione, nel 2050 si stima saliranno al 34%), con relativo aumento delle patologie croniche che comportano problemi di non autosufficienza e di demenza, richiede un’organizzazione adeguata alla gravità delle patologie.
Abbiamo per questo il dovere di attivare più servizi volti a garantire la residenzialità dell’anziano presso la propria abitazione e/o potenziate le strutture intermedie (cohousing, alloggi protetti, centri diurni) affinché sia sempre più garantita l’indipendenza della persona, in modo che l’ingresso in RSA, con la relativa assunzione dei notevoli costi a carico del servizio sanitario provinciale (come la retta sanitaria), avvengano nel momento dell’effettivo bisogno.
Vanno altresì adeguati gli edifici esistenti in una logica di miglioramento della qualità di vita sia dei residenti sia del Personale.
Un’attenzione va posta anche ai “nuovi vecchi”, ovvero soggetti non vecchi anagraficamente, ma che a causa di patologie invalidanti vedono precocemente limitata la propria autosufficienza, alle volte non sempre in via definitiva, e che si trovano a dover essere inseriti in RSA con costi elevati per il sistema sanitario, sottraendo posti letto agli anziani e sopportando un carico emotivo che non facilita certo la ripresa.
Per la gestione dei pazienti con invalidità, infatti, vanno individuate strutture specializzate e differenti dalle RSA.
Al fine di ritardare l’accesso alle RSA, va seriamente presa in considerazione la realizzazione di strutture di cohousing per gli anziani ancora autosufficienti (che temono la solitudine e che hanno bisogno di sicurezza, di assistenza sanitaria e di attività ricreative) e per quelli parzialmente autosufficienti.
Questa modalità abitativa permette alle persone di migliorare la propria qualità di vita grazie a spazi, servizi e forme di accoglienza studiate per favorire l’autosufficienza e contrastare l’isolamento sociale.
All’interno inoltre va prevista la presenza di servizi (bar, parrucchiere, estetista, ambulatorio di medicina generale, palestra, sala lettura, ecc…) fruibili anche dalla popolazione, cosa che, oltre al vantaggio economico derivante dal pieno utilizzo dei servizi, porterebbe anche un indubbio giovamento agli ospiti a livello relazionale. Anche la sala ristorante, ad esempio, potrebbe essere utilizzata in orari diversi, sia per fornire pasti agli anziani che vivono ancora a casa loro, sia naturalmente per gli ospiti delle strutture.
In questo ambito, il privato potrebbe essere interessato ad investire, sostenendo e migliorando al tempo stesso il livello di welfare del territorio.
All’interno della Sanità e del Privato Convenzionato, va ripensata anche la gestione assistenziale e sanitaria delle RSA, minoritarie nel territorio e per questo eccessivamente affollate, a causa della grande richiesta di pazienti spesso totalmente non autosufficienti e mancanza di personale adeguatamente specializzato.
L’insufficienza del personale da una parte e l’assenza di volontari e di familiari durante la pandemia ha portato al drammatico stato di abbandono dei pazienti. E a tal proposito, andrebbe costruita una nuova modalità di coinvolgimento degli affetti nel percorso di assistenza e di cura: aumentando i posti letto, adeguando il numero e la specializzazione del personale. Il livello delle RSA deve essere all’altezza delle aspettative e dei bisogni della comunità, attraverso un controllo e una sinergia con il Pubblico.
E per fare questo, vanno garantiti al Personale un adeguato riconoscimento economico (emolumenti previsti per il personale dipendente da APSS e dipendenti dalla complessità delle prestazioni), percorsi di carriera e formazione continua, un’adeguata qualità dell’ambiente di lavoro, organici adeguati, servizi di conciliazione, anche a fronte della presenza maggioritaria del personale femminile.
Parallelamente vanno innovate le politiche della casa, del lavoro, di conciliazione e dei trasporti per facilitare l’accesso al lavoro, ma soprattutto per valorizzare la fidelizzazione nel tempo, in modo da ottimizzare nel lungo periodo le competenze e la professionalità acquisite.
Per quanto riguarda la gestione, bisogna valutare l’opportunità – in logica di integrazione territoriale omogenea – di valorizzare le specializzazioni che le singole strutture già sono in grado di offrire, al fine di efficientare l’organizzazione della singola struttura e di ottimizzare il servizio sul e per il territorio.
Le Valli meritano un ragionamento specifico: ovvero si potrebbero collocare le cosiddette case della comunità presso le RSA esistenti, permettendo anche a queste strutture di beneficiare dei fondi sanitari PNRR.
In questo caso il territorio beneficerebbe di un aumento del livello di assistenza a favore delle RSA, grazie alla presenza di personale medico che oggi è, invece, disponibile soltanto in poche strutture e con incarichi a contratto.