Gli antichi romani dicevano “nomen omen”, ovvero “un nome un destino”, in grado perciò in qualche modo di predire, di incarnare una identità. Il nome di battesimo ha di fatto un valore simbolico molto spiccato perché non si eredita e per questo è frutto di una scelta e di una mediazione tra i genitori.
Il cognome, sebbene tramandato, non è un elemento puramente burocratico ma caratterizza fortemente la vita di ciascuno. Si pensi anche alle grandi famiglie nobiliari, o a quelle proprietarie di industrie o a grandi talenti artistici.
Cognomi in grado di tramandare storie e valori. Cognomi che, con le regole attuali presenti ancora in alcuni Paesi, possono terminare il loro percorso nella storia solo per il fatto di avere discendenti donne.
Per questo la possibilità che i figli portino entrambi i cognomi, rappresenta una riappacificazione con la storia e con i principi fondamentali di uno stato di diritto.
L’Italia lentamente sta maturando.
Nel 2006, con la Sentenza n. 61 del 16 febbraio, la Consulta sottolineava: «l’attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna».
Nel 2014 seguiva la Sentenza n. 77/07, con cui la Corte europea per i diritti umani, di Strasburgo, riconosceva fondato l’appello, presentato da una coppia di coniugi di Milano, sulla violazione da parte del nostro Paese, dell’articolo 8 (diritto al rispetto per la privacy della vita di famiglia) e dell’articolo 14 (che proibisce le discriminazioni) della convenzione europea dei diritti umani laddove non concede la possibilità, per i genitori, di dare ai propri figli il cognome della madre.
Nel 2016 la Corte Costituzionale, con la citata Sentenza n. 286, ravvisava, fra gli altri, la compressione del diritto all’identità personale, la lesione del diritto di uguaglianza e pari dignità dei genitori nei confronti dei figli e dei coniugi tra di loro e la violazione della Convenzione sulla eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna. La Consulta ha riconosciuto, quindi, la possibilità di dare il doppio cognome a tutti i bimbi nati o adottati dal 28 dicembre 2016 in poi.
A seguito della sentenza della Corte Costituzionale del 2016, la Direzione centrale per i Servizi demografici del Ministero dell’Interno aveva emanato una circolare sul tema che stabiliva l’obbligo per l’ufficiale di stato civile di «accogliere la richiesta dei genitori che, di comune accordo, intendano attribuire il doppio cognome, paterno e materno, al momento della nascita o al momento dell’adozione».
Nel febbraio 2021 la Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 18 si è trovata però nuovamente costretta, a pronunciarsi circa la questione del cognome materno, evidenziando la necessità di una nuova legge che faccia chiarezza.
Appare, dunque, decisamente maturo il tempo per il legislatore di disciplinare in merito al cognome dei figli, nel rispetto dei principi costituzionali dell’identità personale, della pari dignità e dell’uguaglianza tra i sessi.
Questa urgenza l’ho avvertita già all’inizio della legislatura. A solo una settimana dall’insediamento, con la Senatrice Garavini, la Senatrice Fedeli e moltissimi altri colleghi, abbiamo scritto e depositato un primo disegno di legge l’A.S.170: «Modifiche al codice civile in materia di cognome dei coniugi e dei figli». Da quel momento si sono susseguiti altri disegni di legge in materia. Eravamo già all’epoca consapevoli del ritardo del Parlamento e, anche personalmente, consapevoli delle difficoltà applicative della circolare del Ministero dell’Interno.
A tal fine, anche sullo spunto dell’ultima ordinanza del 2021 e grazie allo stimolo della Presidente Casellati, abbiamo creato un Intergruppo sulla parità tra uomini e donne che sta lavorando alla stesura di un disegno di legge unitario sul tema del cognome materno, con l’impegno dichiarato di ottenere la sua approvazione entro la fine di questa XVIII legislatura.
Una battaglia che stiamo portando avanti da tempo e che è stata al centro del un convegno «Cinque anni devono bastare per la riforma del cognome», organizzato nella sala Zuccari del Senato nel giorno del quinto anniversario della Sentenza n. 286/2016 della Corte Costituzionale. Qui il mio intervento:
Al convegno hanno partecipato anche la Ministra per la famiglia e le pari opportunità Elena Bonetti e il Ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà per portare il messaggio anche del Governo: è urgente che il Parlamento legiferi in materia.
È davvero un periodo di grandi trasformazioni per l’Italia e siamo ad un passo affinché i nostri figli possano avere entrambi i cognomi dei genitori.