Da L’Adige del 1° agosto 2023
È stato un raptus, pensano in molti. Anche i giornali scrivono di raptus, come se l’atto efferato e violento compiuto da Shehi Zyba Ilir, reo confesso del femminicidio di Mara Fait, fosse un impulso improvviso e incontrollato.
Raptus è un termine che ci mette a posto con le nostre coscienze collettive e con le responsabilità individuali nel non aver agito per tempo. La realtà però è sotto i nostri occhi e ci dice chiaramente che non si tratta mai di un raptus, ma di un’escalation, cioè di un crescendo di atti sempre più violenti che sfociano nell’atto estremo. Non è una questione terminologica, ma di sostanza. Non è un attimo, ma un crescendo di attimi, un lungo percorso di violenze. Percorso che può e deve essere individuato, compreso e fermato per tempo. Prima che arrivi all’atto finale.
Senza comprendere realmente con quali modalità, con quali schemi questo tipo di violenza cresce e prende piede nel nostro tessuto sociale, non potremo risolvere il problema della violenza domestica e di genere contro le donne.
E questo lo dico sulla base degli anni di lavoro al Senato della Repubblica nella Commissione di inchiesta sul femminicidio e su ogni forma di violenza domestica e di genere. E lo dico con l’animo pesante di chi ha a cuore una vera e propria emergenza e che continua a vedere troppe donne morire, senza che si faccia abbastanza o semplicemente senza che si mettano in piedi azioni concrete, quelle azioni capaci di salvare vite. Quelle azioni che solo se messe in campo tutte assieme, coinvolgendo e formando tutti gli operatori – dalle Forze dell’Ordine alla Magistratura, dai centri antiviolenza agli ospedali, dalle università ai giornalisti – troveranno un argine competente e fermo. L’Italia, e con essa ovviamente il Trentino, si è impegnata a mettere in campo questi interventi sin dal 2013, anno di ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa, nota come Convenzione di Istanbul, che da quell’anno è anche legge dello Stato.
Nonostante le molte leggi approvate, resta un vero e proprio problema di conoscenza e di corretta applicazione delle medesime, anche da parte degli operatori. Tanto che i dati ufficiali sono drammatici e stabili: a fronte di omicidi in calo, i femminicidi restano costanti. E questi dati ci confermano che in Italia viene uccisa una donna ogni due giorni e mezzo e che nel 90% dei casi il femminicidio viene commesso da un uomo che conosce, con cui ha avuto una relazione affettiva, parentale, di amicizia o vicinato. Viene uccisa dopo’escalation di violenze spesso durate anni e qualche volta già denunciate, come nel caso della roveretana Mara Fait.
E il Trentino queste terribili storie le conosce bene: quando vennero uccise Alba Chiara Baroni, Eleonora Perraro, Agitu Ideo Gudeta, Deborah Saltori, Viviana Micheluzzi, eravamo consapevoli che sarebbe riaccaduto, perché senza un concreto cambio di rotta nella tempestività degli interventi, la statistica si ripete impietosa. Questa fotografia ci inchioda a delle responsabilità.
La violenza domestica e di genere ha una propria dinamica, sovrapponibile a tutti i casi di violenza. Una dinamica diffusissima e trasversale nel Paese tanto che oltre 7 milioni di donne, secondo i dati ufficiali Istat, nel corso della loro vita hanno subito una qualche forma di violenza: psicologica, economica, fisica. Parliamo di milioni di donne e uomini che stanno vivendo e agendo un percorso di violenze, parliamo della nostra responsabilità di interrompere questi percorsi aiutando le donne, rieducando e/o punendo gli uomini autori. Parliamo di ragazze e ragazzi da crescere immersi in una cultura di rispetto, liberi da pregiudizi e consapevoli della differenza abissale che esiste tra conflitto interpersonale e violenza.
Ed è per questo che parlare o scrivere di raptus è profondamente infondato e sbagliato. Parliamo invece di escalation, scriviamo piuttosto di crescendo di azioni sempre più violente. Diciamo a noi stessi che è compito nostro, ciascuno nel proprio ruolo, agire nei percorsi di prevenzione, protezione, punizione e politiche. E prima ancora di sentirci promotori di una cultura paritaria, impegniamoci a non pronunciare parole di offesa o denigrazione.
«Sei patetica», «Non sei capace di fare nulla», «Non vali nulla», «Stai al tuo posto» sono diventati ormai dei modi di dire quotidiani, a cui non facciamo quasi più caso perché immersi nel nostro modo consuetudinario e patriarcale di intendere un rapporto sperequato in cui gli uomini, per qualche ragione di retaggio giuridico e culturale, possono ancora permettersi di dare giudizi. Giudizi su dei comportamenti che fino al 1956, con lo “Ius corrigendi”, potevano giuridicamente “essere ridefiniti” con l’uso di lieve violenza a fini correttivi o educativi nella piena legittimità della legge.
Dunque cosa fare oggi? Iniziamo con lo smettere di chiamare la violenza, “raptus”, solo per scrollarci di dosso la responsabilità. Oggi è importante osservare i propri comportamenti, parlare e agire in modo diverso, nel modo giusto.
Sono convinta che la maggior parte della comunità trentina sia pronta per affrontare in modo serio ed approfondito il tema della violenza domestica e di genere, ed è per questo che nel nostro programma abbiamo inserito la Strategia provinciale per la parità di genere e per il contrasto alla violenza contro le donne. Un percorso di trasformazione sociale profondo, condiviso e liberatorio.
Donatella Conzatti
componente della Cabina di regia nazionale di Italia Viva e Coordinatrice Regionale di Italia Viva ReNew Europe, già Senatrice