Egregi membri del Governo, colleghi, i documenti che stiamo esaminando, il DEF, lo scostamento dall’OTM e, quasi contestualmente, il PNRR raccontano le enormi sfide dell’Italia:

1. Iniziare a crescere a ritmi sostenuti, superando vari nodi, compreso quello della produttività del lavoro;

2. Portare i conti pubblici nelle condizioni di:

a- mantenere il debito pubblico sostenibile;

b- ridurlo, per poter avere una spesa corrente capace di sostenere i nuovi investimenti ed avere uno spazio di bilancio tale da affrontare possibili e non certo auspicabili nuove crisi.

Le sfide non sono solo quelle dell’economia ma riguardano tutti gli italiani, chiamati ad accompagnare la radicale trasformazione del Paese che, nel breve tempo di cinque anni, deve diventare green, digitalizzato, più coeso, con un capitale umano all’altezza delle competenze richieste e con una sanità che ci mantenga in grado di fare tutto questo. Uno stato di salute diffusa da intendersi come presupposto;

3. Le sfide inoltre riguardano noi, la politica, che con coraggio ed alta capacità di mediazione dovremo riformare: fisco, giustizia, pubblica amministrazione e mercato del lavoro. Lo dovremo fare nei prossimi cinque anni – che saranno interrotti dall’elezione del Capo dello Stato e dalle elezioni politiche. Questo compito toccherà, quindi, non solo a noi ma anche a chi sarà qui dopo di noi.

Per tutti questi motivi più che di sfide qualcuno parla di una grande scommessa del sistema Italia. Possiamo vedere il lavoro che ci spetta come ineludibile oppure come una grande opportunità, a seconda se assecondiamo filosofia pessimista od ottimista, ma resta il fatto concreto che per la prima volta l’Italia si trova di fronte ad una strada obbligata e senza scorciatoie. Il DEF contiene il quadro delle previsioni macroeconomiche, di finanza pubblica e la nuova richiesta di scostamento che è resa possibile dall’applicazione della cosiddetta General Escape Clause che assicura una temporanea sospensione delle regole di bilancio, così da assicurare agli Stati membri gli spazi di manovra necessari a sostenere le spese sanitarie e a contrastare gli effetti recessivi della crisi pandemica.

Per fronteggiare la pandemia in tempi rapidi, il Parlamento ha consentito il ricorso a un maggiore indebitamento pari a complessivi 180 miliardi, dei quali:

– circa 108,3 miliardi di euro, per l’anno 2020, hanno finanziato le misure recate dai decreti-legge nn. 18 (cosiddetto “cura Italia”), 23 (cosiddetto “liquidità”), 34 (cosiddetto rilancio”), 104 (cosiddetto “agosto”), 137 (cosiddetto “ristori”);

– circa 32 miliardi di euro, autorizzati nel gennaio 2021, hanno consentito di finanziare le misure recate dai decreti-legge nn. 183 del 2020 (cosiddetto “proroga termini”), 30 (relativo ai rischi sanitari da Covid-19) e 41 (cosiddetto “sostegni”) del 2021, gli ultimi due sono attualmente in corso di esame presso le Camere.

La presente richiesta del Governo prevede un ulteriore indebitamento netto di 40 miliardi di euro per l’anno 2021. Con il presente scostamento il Governo intende proporre un nuovo decreto-legge chiamato “Imprese” contenente interventi di sostegno alle imprese colpite dalla crisi da Covid-19 con misure di riduzione dei costi fissi e interventi per favorire il credito e la concessione di liquidità delle imprese, oltre a interventi per i lavoratori e le famiglie in condizioni di maggior disagio, nonché nuove misure a favore dei giovani. Va detto che, secondo il FMI, nell’ultimo aggiornamento del Fiscal Monitor (aprile 2021), dall’inizio della pandemia ad oggi, l’Italia ha messo in campo risorse pari all’11 per cento del PIL. In linea con Francia e Germania che, come tutti gli Stati UE, hanno beneficiato anche di ulteriori interventi europei, tali da rendere non esattamente paragonabili gli interventi di altri Stati extra UE come gli Stati Uniti che con 5.328 miliardi di dollari hanno messo in campo risorse pari al 25,5 per cento del PIL, oppure come il Regno Unito con il 16,2 per cento del PIL, il Giappone con il 15,9 per cento, l’Australia con il 16,1 per cento, e il Canada con il 14,6 per cento. Oggi, con la presente Relazione e la richiesta di scostamento di 40 miliardi, il Governo richiede quindi l’autorizzazione a rivedere il percorso di avvicinamento all’OMT fissando il nuovo livello dell’indebitamento netto all’11,8 per cento del PIL nel 2021 e prevedendo il suo graduale riassorbimento, per tornare ad essere inferiore alla soglia del 3% solo a partire dal 2025 e, quindi, pericolosamente dopo la riapplicazione delle regole del Patto di stabilità e crescita che dovrebbe avvenire nel 2023 e rispetto alla quale l’Italia ha tutto l’interesse a proporne una revisione.

Fondo d’investimento complementare – PNRR.

La presente richiesta del Governo prevede inoltre un ulteriore indebitamento netto di circa 6 miliardi di euro annui in media per il periodo 2025-2034, risorse destinate ad implementare il cosiddetto Fondo d’investimento complementare. Con tale Fondo, il Governo vuole rafforzare il programma europeo NGEU, rendendo possibili quei progetti presentati dalle amministrazioni nell’ambito del PNRR che, seppur riconosciuti prioritari, risultavano eccedere l’ammontare complessivo delle risorse destinate all’Italia. Il PNRR, nella sua versione definitiva, potrà così contare su un ammontare, più consistente, di circa 238 miliardi, importo che si raggiunge sommando: alle risorse del Dispositivo di ripresa e resilienza (RRF) ricalcolate in 191,5 miliardi, le risorse previste dai programmi complementari (esempio ReactEU), che ammontano a circa 15 miliardi, e dai circa 31,5 miliardi del nuovo Fondo di investimento complementare.

PIL

L’importo positivo del PNRR si legge anche nell’andamento del PIL soprattutto nel 2021 e 2022. Rispetto allo scenario tendenziale infatti il PNRR imprime un incremento complessivo del tasso di crescita del PIL di +0,4 punti percentuali nel 2021 e di +0,5 punti percentuali nel 2022, così da attestare il PIL rispettivamente al 4,5 per cento e 4,8 per cento.Grazie a tale dinamica il PIL nello scenario programmatico recupererebbe velocemente i livelli pre-crisi, per poi riassestarsi su quei livelli certo non brillanti per tutto l’orizzonte di previsione, quindi fino al 2024. In tal senso ci si chiede se il PNRR non manchi di dare piena evidenza di quell’impulso duraturo sulla crescita, tanto atteso.

Debito.

Quanto alle previsioni sull’andamento del rapporto debito/PIL, per effetto del perdurare della crisi, lo stesso non subisce l’inversione di tendenza prefigurata nella NADEF 2020 – che prevedeva per il 2021 un valore pari al 155,6 per cento del PIL – ma invece aumenta fino al 159,8 per cento nel 2021. Il quadro tendenziale aggiornato è infatti peggiore rispetto a quello della NADEF 2020 a causa sia dello scostamento di bilancio richiesto lo scorso gennaio per finanziare il decreto-legge cosiddetto “sostegni”, sia della nuova richiesta di scostamento annessa a questo DEF.Per quanto riguarda gli anni successivi dell’orizzonte di previsione fino al 2024, l’inversione di tendenza del rapporto debito/PIL inizia già a partire dal 2022, con un obiettivo programmatico pari al 156,3 per cento da ottenere grazie al calo del fabbisogno del settore pubblico (-6,8 punti percentuali rispetto al 2021) e alla maggiore crescita del PIL nominale (+6,2 per cento). Il rapporto è previsto in ulteriore calo nel 2023 (155 per cento) e nel 2024 (152,7 per cento) principalmente grazie ad una riduzione del disavanzo primario e di un miglioramento della crescita del PIL nominale. Bisogna in ogni caso attendere un decennio per tornare a livelli del rapporto debito/PIL pre-crisi, livelli che erano già molto elevati. Come doverosamente sottolineato dall’UPB, la sostenibilità di un debito pubblico tanto elevato è resa possibile anche grazie alle politiche monetarie espansive intraprese dalla BCE e dalle iniziative della UE per la stabilità dei mercati e la ripresa economica – principalmente i programmi SURE e NGEU – che hanno ridotto in corso d’anno la volatilità dei mercati, determinando contestualmente una flessione generalizzata dei rendimenti dei titoli di Stato. In tale contesto, la spesa per interessi è scesa a 57 miliardi di euro nel 2020 attestandosi al 3,5 per cento di PIL ed è destinata ulteriormente a ridursi al 2,6 per cento nel 2024. Per quanto il DEF non manchi di dettagliare anche gli scenari avversi, vale la pena lasciare traccia di alcune preoccupazioni circa gli assunti di base del Documento: che sono una favorevole evoluzione della pandemia e in secondo luogo l’invarianza delle condizioni di contesto internazionali.

In verità, lo scenario macroeconomico dell’economia italiana appare ancora soggetto a forti rischi. Più nel dettaglio:

1. Lo scenario è ancora fortemente influenzato dalla pandemia, per la quale a) non si può escludere la possibilità di nuove varianti; b) non si possono sottovalutare i rischi di rallentamenti nella campagna vaccinale, non tanto dipendenti dalla somministrazione – che con il nuovo Governo procede spedita – ma legati agli approvvigionamenti ed alla produzione dei vaccini.

2. Le politiche economiche e monetarie almeno fino al 2022 dovrebbero restare molto espansive, grazie al perdurare della sospensione del patto di stabilità e crescita e grazie ai programmi di acquisto della BCE.

Tuttavia, dal 2023, si renderà necessario ridurre gli squilibri finanziari accumulatisi attraverso l’espansione dei bilanci di governi e banche centrali. Compito dell’Italia è sin d’ora quello di chiedere che i percorsi di rientro siano coordinati tra gli Stati UE così da non incidere sui premi al rischio, richiesti dai mercati alle economie maggiormente indebitate, come è la nostra. Inoltre si possono vedere altri rischi. Una strategia di riduzione del debito basata sulla crescita richiede – tautologicamente – che la crescita ci sia, e per questo diventa dirimente capire se gli investimenti e le riforme del PNRR saranno effettivamente realizzate. Posto che le stesse dovranno realizzarsi entro il 2026, ad oggi non abbiamo, tuttavia, né i progetti finali né i due Decreti cardine, ovvero quello sulla governance del Piano e quello sulla semplificazione normativa e regolamentare. Inoltre, se anche la crescita prevista dal Governo si realizzasse, riassorbire il debito attraverso la crescita richiederebbe di non tramutarla, tout court, in spesa. Qualora invece gli effetti della crescita fossero utilizzati per nuova spesa corrente (come la necessità di sostenere e gestire gli investimenti realizzati come il PNRR può lasciar intendere) il rientro dal debito sarebbe ancora più lento di quello descritto nell’attuale quadro programmatico. Oggi, votando DEF e scostamento, ci assumiamo in pieno la responsabilità e i rischi. Sono rischi, come per le riaperture, “calcolati”. Tuttavia dobbiamo avere chiaro che in gioco non c’è semplicemente la reputazione del Governo ma c’è la tenuta dell’economia reale dell’Italia.